“La bella estate” è un romanzo breve dell’intellettuale torinese Cesare Pavese in cui vengono narrate le vicende di Ginia, una giovane ragazza di città alle prese con i primi maldestri approcci al mondo degli adulti e alle prime esperienze amorose. L’idillio della “bella estate” che sogna la protagonista all’inizio della storia, tuttavia, è destinato a sbriciolarsi, lasciando spazio a una visione del mondo più matura, sobria e realista.

Il romanzo in breve
Ginia è un’ingenua ragazza di sedici anni che vive sola insieme al fratello Severino. Convinta che quella particolare estate della sua vita contenga un tesoro prezioso da raggiungere e conservare, Ginia si sforza di far accadere qualcosa di magico. Si allontana sempre di più dalla coetanea Rosa per avvicinarsi ad Amelia, una giovane donna che lavora come modella per i pittori della città e che frequenta ambienti bohémien. La riservatezza e il pudore di Ginia contrastano fortemente con la spensieratezza e la disinvoltura di Amelia ma, benché le due ragazze bisticcino spesso, finiscono sempre per riconciliarsi. Tramite Amelia, Ginia conosce Guido, un affascinante pittore che le fa provare l’ebbrezza della prima infatuazione. I due diventano amanti, ma uno scherzo di cattivo gusto da parte di Guido riporta Ginia alla realtà, strappandole la candida innocenza di adolescente innamorata. Con il cuore spezzato e i sogni infranti, Ginia farà pace con se stessa e con Amelia, e potrà finalmente seguirla nella vita adulta immune alle illusioni infantili.
Amelia
Nonostante nel libro non venga mai fatta esplicita menzione di un’attrazione reciproca tra Ginia e Amelia, dai comportamenti delle ragazze traspare un forte magnetismo che, pur respingendole per alcuni tratti, le riavvicina sempre. Ginia, infatti, non può rinunciare alla compagnia di Amelia, in cui vede tutta la sicurezza e la femminilità che non riesce a scorgere in se stessa. Attraverso un processo di imitazione, Ginia prende gradualmente confidenza con le sue capacità e i suoi desideri:
“Poteva farlo lei, se lo faceva Amelia”.
Tuttavia, la reale immaturità della ragazza viene a galla in tutte le sue relazioni sociali, sfociando nel costante timore di restare sola ed essere abbandonata dagli amici. Il carattere spigoloso e diretto di Amelia la spinge a pungolare Ginia e a ferirla spesso nelle sue debolezze. Da un lato, Ginia si sente spinta a imitare i comportamenti di Amelia per sentirsi donna. Dall’altro, però, deve fare i conti con il suo forte pudore e la sua ingenuità, che la fanno risultare spesso maldestra, accentuando il suo carattere insicuro e infantile:
"Quando Amelia scherzava così senza ridere, Ginia aveva paura che succedesse qualcosa e restava male e tornava a casa sentendosi sola."
"Sono una scema", pensò Ginia finalmente, "perché scappo sempre? Non ho ancora imparato a star sola. Mi vengano a cercare, se mi vogliono".
All’inizio del racconto, il desiderio di Ginia di mostrarsi donna è superficiale, mancandole il vero coraggio di diventare adulta. Per questo, la ragazza cerca continuamente conferma nell’amicizia con Amelia - che accordandole qualche attenzione le dà l’impressione di essere sua pari - e nel riconoscimento della sua maturità da parte del gruppo di amici più grandi. Senza la presenza d’altri, le sue azioni non hanno significato:
"Sperava sempre, uscendo dall'atelier, di trovare qualche novità sotto il portone, e che non ci fosse mai nessuno ad aspettarla le dava il senso di aver perduto la giornata, di essere già a domani, e doman l'altro, e di aspettare aspettare qualcosa che non veniva mai."
“Fumare non bastava, perché avrebbe tanto voluto che qualcuno la vedesse, e adesso neanche Rosa non veniva più a cercarla.”
Alla fine del racconto, è grazie ad Amelia che Ginia è costretta a fare i conti con la cruda realtà. La confessione dell’amica fa crollare l’ultimo pilastro del suo idillio:
"Sono innamorata di te, - disse rauca -. Allora Ginia la guardò di scatto. - Ma non ti posso dare un bacio. Ho la sifilide."
Ginia si rende conto così che l’Amelia che tanto desiderava imitare è ben lontano dall’essere un modello ideale. La vita adulta è anche delusione e sofferenza, così come lo è l’amore. Entrambi vanno apprezzati così come sono, risolvendosi ad abbandonare le trasognate fantasticherie infantili. Capito questo, Ginia si affida ad Amelia e si rassegna a dimenticare la “bella estate” che sognava, inaugurando una nuova stagione della propria vita.
“Andiamo dove vuoi,” disse Ginia. “Conducimi tu”.
Guido
L’altro personaggio di riferimento responsabile della maturazione affettiva di Ginia è il pittore Guido. Inizialmente, Ginia sembra rimproverare a Rosa di essersi concessa così giovane, e maschera la sua ipocrisia con un velo di disapprovazione morale. In realtà, prova rancore e gelosia nei confronti dell’amica perché il confronto con lei la fa sentire infantile e ingenua:
"Io valgo di più", diceva Ginia, "a sedici anni è troppo presto. Peggio per lei se si vuole sprecare". Diceva così ma non poteva ripensarci senza umiliazione, perché l'idea che quelle altre senza mai dirlo fossero tutte passate nei prati, mentre a lei, che viveva da sola, la mano di un uomo dava ancora il batticuore, quest'idea le tagliava il fiato."
Quando incontra Guido, Ginia dimentica l’ipocrita sentenza dispensata a Rosa. In lei divampa la fiamma della passione amorosa e, nonostante i timori, l’infatuazione è incontenibile ed esige l’abbandono totale all’istinto. Una volta diventati amanti, Ginia si ripete continuamente che Guido è “buono”, e si sente confortata dalla sua presenza. Questa sensazione di calma e serenità alimenta i suoi ideali romantici e la sua convinzione di essere ormai diventata una donna:
"Si vede che gli piaccio come parlo, come guardo, come sono; gli piaccio come amicizia, mi vuol bene. Non credeva che avessi diciassette anni, mi baciava sugli occhi; sono proprio una donna".
Gli incontri intimi con Guido assumono la sacralità di un amore puro e innocente, coronato dall’infinita fiducia che Ginia prova nei suoi confronti:
“Quando vide Guido l'ultima volta, la sera prima che partisse, Ginia sentì di colpo che far l'amore come piaceva a lui, era una cosa da morire, e rimase istupidita, tanto che Guido scostò la tenda per vederle la faccia, ma Ginia gli tenne le mani e non volle. [...] Scese la scala, sbalordita, e stavolta era convinta di non essere più lei e che tutti se ne accorgessero."
La novità dell’amore la fa sentire adulta e matura, ma il vero evento che scatenerà la sua reale maturazione sarà la sua separazione da Guido. Le insicurezze di Ginia, infatti, non restano sommerse a lungo, e riemergono violentemente inondando di dubbi la sfera intima che fino a poco prima le dava grande gioia e sollievo:
"Poi s'accorse che Guido dormiva, e le parve impossibile che si potesse dormire abbracciati così, e si scostò piano piano e trovò un posto fresco, tanto che divenne inquieta perché sentì di essere nuda e di essere sola. Di nuovo la prese il ribrezzo e la pena come quando da bambina si lavava. E si chiese perché Guido faceva l'amore con lei e pensò all'indomani, pensò a tutti quei giorni che aveva aspettato, e le si empirono gli occhi di lacrime che pianse adagio per non farsi sentire."
L’amore per Guido si estingue dolorosamente nel momento in cui questo tradisce grettamente la sua fiducia, permettendo all’amico Rodrigues di spiarla da dietro la tenda mentre posa nuda:
"Lasciala stare, - disse la voce di Guido, - è una scema”. Allora Ginia cominciò a piangere, in silenzio, attaccata alla tenda. Piangeva di cuore come quella notte che Guido dormiva. Le pareva di non aver mai fatto altro con Guido che piangere."
Solo in questo momento Ginia ritrova se stessa in tutte le sue fragilità, e contempla l’indelebile macchia che ha corrotto la sua innocenza.
Stile
Già dalla frase di apertura si intuisce che Cesare Pavese sta assumendo un punto di vista femminile. Tutti gli eventi, infatti, sono filtrati dalla lente dei pensieri di Ginia.
"A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, o magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline."
Il linguaggio è sobrio e si dà poco spazio a inutili informazioni di contorno. La messa a fuoco dei sentimenti non è necessaria perché, al momento della lettura, i nostri ricordi riempiono il vuoto lasciato dalle parole, rievocando emozioni e sensazioni in modo tridimensionale. Il tono della narrazione, tuttavia, non è affatto nostalgico. Le delusioni di Ginia sono una catastrofe necessaria per imparare ad affrontare la vera vita, e diventano il sacrificio di un rito di passaggio dolorosamente traumatico. Solo una volta accettato questo fatto, Ginia può seguire Amelia - simbolo dell’età adulta - con un sorriso serafico.
Conclusione
“La bella estate” racconta il passaggio universale dall’adolescenza all’età adulta, ed è questa universalità a renderlo coinvolgente e interattivo. Forse i grandi sogni e le grandi speranze che custodivamo nell’età adolescenziale erano destinati ad infrangersi fin dall’inizio, ma ciò non ci ha impedito di avere il gonfio di speranza, la figlia dell’ingenuità. Ed è quello che prova anche Ginia, e che le causa quel miscuglio di impazienza e timore di diventare grande:
"Qualche volta pensava che quell'estate non sarebbe finita più, e insieme che bisognava far presto a godersela perché, cambiando la stagione, qualcosa doveva succedere."
Il doloroso sacrificio dell’innocenza, proprio come una morte volontaria, è il requisito necessario per lasciare quella parte di sé che costituisce un ostacolo nella visione realista dell’esistenza, ed è l’unico modo per permetterci di rinascere nella vita adulta, meglio equipaggiati per affrontare la sofferenza.
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